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Dai soci : Papa Wojtyla e la montagna
Inviato da PManenti il 31/03/10 (3378 letture)
Dai soci

Sono trascorsi cinque anni da quel 2 aprile 2005, eppure sembra ieri. Basta riandare al ricordo di quella giornata e di nuovo l’intensità dell’emozione, il vuoto dell’anima dinanzi alla morte si riappropria di noi, segnando lo smarrimento. È stato amato da tutti, fedeli e laici, credenti e agnostici e tutti ancora lo piangono.
Quella sera del 2 aprile ero in casa, preparavo i materiali per la gita in montagna dell’indomani. Prima di andare a dormire, ascoltai il telegiornale delle 20, si diceva che le condizioni di papa Wojtyla continuavano a peggiorare e che ormai non c’era più nulla da fare. Il giorno successivo partimmo che era ancora buio per la Valle d’Aosta, eravamo senza radio e non sapemmo nulla delle vicende del papa. All’alba arrivammo a Cheneil in Valtournenche. Era una splendida giornata primaverile, altri scialpinisti erano già davanti a noi, salimmo il monte Roisetta, un itinerario con panorami di rara bellezza. Raggiungemmo la vetta verso metà mattina, davanti a noi la smisurata grandezza del Cervino, una vista che dà subito una misura di maestà, forza, altezza. E proprio mentre i nostri sguardi osservavano la sua mole, l’inconfondibile piramide che gigantesca sulla conca di Breuil, con emozioni da lasciarci attoniti, fummo informati dal gruppo che ci aveva preceduto della morte di papa Wojtyla. Rimasi commosso, mi allontanai dal gruppo per stare solo, il mio sguardo passava dalla visione del Cervino a quella del volto luminoso di papa Wojtyla, anch’Egli, come noi, amava la montagna. Pensai ad una frase che disse durante una sua vacanza in Cadore: «Davanti alla maestà dei monti, siamo spinti ad instaurare un rapporto più rispettoso con la natura. Allo stesso tempo, resi più coscienti del valore del cosmo, siamo stimolati a meditare sulla gravità delle tante profanazioni dell’ambiente perpetrate spesso con inammissibile leggerezza. L’uomo contemporaneo, quando si lascia affascinare da falsi miti, perde di vista le ricchezze e le speranze di vita racchiuse nel creato, mirabile dono della Provvidenza divina per l’intera umanità». Come per Elia, che incontrava Dio nella brezza carezzevole e riposante del monte Oreb, come per Mosè, che pregava sul monte per rincuorare il suo popolo in lotta per aprirsi un varco verso la libertà, così per Giovanni Paolo II il rapporto con la montagna fu quanto mai singolare. Esso risaliva agli anni della sua giovinezza, quando, appena prete, accompagnava gli studenti universitari sul Tatra, gli amati monti della sua patria. Un rapporto mai interrotto, neppure quando tutto sembrava impedirlo, a iniziare dalla salute. Nemmeno il fatto di essere diventato pontefice gli negò quelle uscite fuori porta - più di qualcuna “non ufficiale”, lasciando, per così dire, di nascosto il Vaticano - che tanto gli giovavano al corpo e all’anima. Molti dei suoi interventi, encicliche o discorsi che fossero, maturarono proprio in qualche rifugio montano e contemplando la bellezza di quanto Dio ha creato. Ventisei anni or sono furono le nevi dell’Adamello a costituire lo sfondo dello storico incontro tra il Papa polacco ed il presidente Pertini: un abbraccio caloroso, pieno d’affetto e di stima, tra un grande spirito laico e la voce della fede e della speranza in nome della pace. A colui che è stato definito il “teologo della montagna” sono stati dedicati alcuni tratti di montagna: dal sentiero carnico che porta al monte Peralba, a una delle cime abruzzesi del Gran Sasso, alla Cresta Croce sull’Adamello. Come non ricordare le sue ispirate parole del discorso tenuto nel 1986 al ghiacciaio della Brenva, sul monte Bianco: «Guardando le cime dei monti si ha l’impressione che la terra si proietti verso l’alto, quasi a voler toccare il cielo: in tale slancio l’uomo sente, in qualche modo, interpretata l’ansia di trascendente e di infinito… L’uomo contemporaneo, che sembra rivolgersi talvolta unicamente alle cose della terra, in una visione materialistica della vita, deve di nuovo saper guardare verso l’alto, verso le vette della grazia e della gloria, per le quali è stato creato e a cui è chiamato dalla bontà e grandezza di Dio».
L’immagine di papa Wojtyla rimane, nei miei ricordi, indissolubilmente legata all’icona del Cervino, simbolo delle Alpi ed espressione metaforica della montagna. «Non vi ha monte che prenda ai nostri occhi un'espressione così personale; siamo tentati di cercargli una fisionomia come ad un uomo, di credere che in quel capo enorme sia un pensiero». Così scriveva Guido Rey del Cervino all'inizio del Novecento. Non dimenticherò mai l’emozione di quel giorno di cinque anni fà, la maestà del Cervino ed il vento che mi accarezzava, quello stesso vento che durante i funerali di papa Wojtyla scompigliava le pagine del Vangelo posto a sigillo della bara sul sagrato, trascinando in vaticinio le parole dell'allora Cardinale Ratzinger: “... possiamo essere sicuri che il nostro amato Papa sta adesso alla finestra della casa del Padre e ci vede, ci benedice...”


Paolo Manenti

Dai soci : In ricordo di un amico
Inviato da e.scagliotti il 11/09/09 (2411 letture)
Dai soci

In ricordo di un amico - Stefano Raimondo-

Eravamo in tanti la sera al Santo Rosario e martedì mattina 1° settembre al funerale per salutarti ed accompagnarti al tuo ultimo viaggio al cimitero di Rivera.
Tanta gente commossa , con le lacrime agli occhi ,come dimostrazione di affetto e di stima, per renderti omaggio verso tutto quello che hai fatto e saputo dare nel percorso di questa vita terrena.
Belle e toccanti le parole di don Ettore Giorda nell’omelia funebre,dove ricordava la tua devozione alla Madonna del Rocciamelone dove salisti per ben 80 volte, alla chiesa parrocchiale di Santo Stefano che riporta il tuo stesso nome ,alle diverse cappelle ubicate sul territorio del comune,alla tua devozione verso San Francesco di Assisi dove spesso ti recavi in pellegrinaggio,alle varie bellezze del tuo paese natio del quale ne eri profondamente innamorato e dove hai trascorso tutti gli anni della tua vita:Rivera.
Lo stesso Sindaco, Bruno Gonella ricordava la tua partecipazione attiva alla vita politico sociale del comune dove avevi rivestito la carica di primo cittadino per diverse legislature,ed anche quando ti eri ritirato dalla vita pubblica la tua voce, il tuo spirito critico-costruttivo ,la tua mano tesa , erano sempre disponibili e finalizzati a dare un suggerimento/aiuto positivo verso la comunità.
Il sindaco ricordava inoltre, il tuo grande amore per la montagna, da quando durante il ritorno da una gita di sci alpinismo ebbe l’occasione di conoscerti e parlando di gite ed escursioni con te ebbe modo di scoprire quanto grande fosse il tuo amore per la montagna in tutti i suoi aspetti.
Infatti tu, dedicasti anima e corpo alla montagna in ogni stagione e fosti promotore e fondatore di quello che divenne il Club Alpino Italiano sezione di Almese.
L’altra mattina mentre salivo a Rocca Sella,montagna a te cara, dove parecchie volte ti avevo incontrato nel percorrere i diversi sentieri che portano in vetta , sentivo che non ero solo,sapevo che tu eri al mio fianco nella salita e così che passo dopo passo mi ritornavano in mente
di cosa fosse per te il CAI, dei bei momenti trascorsi insieme nelle gite e delle piacevoli chiacchierate fatte in sede.
Sapevo e te ne siamo grati che l’idea di fondare una sede del CAI in Almese scaturì proprio da te che assieme ad altri amanti della montagna deste vita a questa associazione, prima come sottosezione di Alpignano nel 1975 e successivamente come sezione nel 1977.
Anche se non facevi parte dei vari consigli direttivi, ogni volta che venivi in sede,nelle gite o ti vedevo in giro per il paese dopo aver parlato del più e del meno la domanda d’obbligo era “come va il CAI ,ci sono novità,tutto bene”? Ed è qui che il tuo spirito critico e propositivo usciva fuori,con suggerimenti e proposte dove vedeva qualcosa che non gli piaceva.
Tu abbracciasti in toto tutto quello che la montagna offriva:dalle semplici gite a carattere escursionistico a quelle più impegnative, sia su roccia che su ghiaccio ,alle gite di sci su pista e di sci alpinismo, al corso di alpinismo presso la sezione CAI Almese ed alla festa di chiusura delle attività sociali a Celle dove immancabilmente offrivi l’aperitivo a tutti i partecipanti.
Mi ricordo che eri sempre uno dei primi a raggiungere la meta delle a gite ,questo dovuto anche alla tua prestanza fisica.
Immancabilmente dal tuo zaino appariva un contenitore con l’insalata di carne cruda e con altruismo ne offrivi a tutta la comitiva,mentre alcuni di noi, già in parte influenzati dai nuovi ritrovati in fatto di alimentazione in voga a quei tempi non ne apprezzavamo la bontà.
In piemontese ci dicevi “gioventu’ d’l mangim,i seve pa un ca le bon”. E con questa frase storica ci zittivi tutti.
Molte sono le gite che hai fatto ,ma in particolare ricordavi volentieri: la est del Viso,il Grand Cordonnier,il Rocciamelone,la traversata dei Rochers Cornus, la Rognosa d’Etiache e la traversata delle vette sopra il lago del Moncenisio dal col du Lou alla punta del Lamet.
Purtroppo in questi ultimi due anni la tua salute pian piano incominciò venir meno e la tua partecipazione alle nostre attività sempre meno frequente.
Sempre però presente al rinnovo della tessera ed alla festa a Celle del CAI.
Quando venivo a trovarti insieme a Vincenzo (attuale presidente) e Vittorio venivamo accolti da tua moglie Anna che ci invitava a salire le scale in quanto tu eri seduto nel soggiorno dove ci accoglievi amorevolmente con gratitudine invitandoci a sedere.
Parlavamo del più e del meno toccando vari argomenti ,il tuo discorso era sempre brillante ,la tua mente sana con serafica lucidità ti portava a parlare di ogni cosa, ma alla fine prima di congedarci ci chiedevi “raccontatemi del Cai’’e noi ti illustravamo le attività in corso.
Titubante non osavo chiederti come andava la tua malattia ,eri tu stesso che mi dicevi con coraggio e serenità non comuni come ti sentivi ,le cure e le analisi che stavi facendo .
Consapevole che le forze ti stavano abbandonando avevi già predisposto tutto nei minimi particolari, al fine di non lasciare nulla di incompiuto.
Ora ,amico mio, che sono(siamo) arrivati in punta a Rocca Sella vorrei salutarti con le stesse parole che tu avevi dedicato all’amico Bruno Giorda (anche lui socio fondatore) quando purtroppo anni fa improvvisamente ci lasciò:

...“Caro Stefano,oggi sono arrivato a questa meta a te cara,ricordando le cime raggiunte insieme negli anni trascorsi. Ora che sei ‘arrivato avanti’ ti prego attrezza il sentiero alla vetta anche per noi che ti seguiremo”…

Ciao Stefano!

Marco Frigerio.

Dai soci : In ricordo di Stefano Raimondo
Inviato da PManenti il 05/09/09 (21809 letture)
Dai soci

Nel 1994, da Milano, mi trasferii in Valsusa per essere vicino alla mia fidanzata di Almese.
Andai ad abitare a Rubiana, nella stessa casa dove abita Vittorio Girodo. Era luglio, Vittorio mi disse “ti và di fare una passeggiata in montagna?”, gli risposi “va bene, dove mi porti?” ed egli aggiunse “ti porto al Civrari”. E così, era un sabato di chissà quale giorno, andammo al Civrari. Partenza da Niquidetto, Punta della Croce, Punta Imperatoria ed infine la Torretta del Prete.
Nella mia vita avevo sempre vissuto in pianura, la montagna non sapevo cosa fosse, passai una giornata straordinaria che si concluse con una merenda alla Stella Alpina di Favella, sempre insieme a Vittorio.
La domenica scesi ad Almese, pranzo dai futuri suoceri. Nel pomeriggio conobbi Stefano Raimondo, passava tutti i giorni da via Moncurto a passeggio con il suo cane. Stefano era molto amico di mio suocero, me lo presentò e parlammo a lungo. Gli raccontai della gita al Civrari, delle emozioni che provai. Stefano mi ascoltò, poi mi raccontò anch’egli di montagna, delle sue passioni e di quando, con alcuni amici, costituì in Almese una sottosezione del Club Alpino Italiano.
Passarono alcune settimane e lo rividi, mi invitò nella sede CAI di Almese e, quando fui là, mi disse “vuoi diventare socio del CAI?”, gli risposi “certo, sono venuto per questo!”. Ricordo che il segretario era Claudio Ferraudo, il presidente Marco Frigerio. Cominciai a frequentare la montagna, escursioni sempre più impegnative, in due anni calpestai tulle le montagne della Valsusa. Quando Stefano passava con il suo cane da via Moncurto lo aggiornavo sulle mie gite, erano tutte montagne che conosceva. Nel 1996, nella sede CAI di Almese trovai una locandina della scuola “Carlo Giorda”, organizzavano il primo corso di scialpinismo. Non sapevo nulla dello scialpinismo ma mi iscrissi lo stesso. Scoprii la montagna nella sua veste invernale e l’anno successivo mi iscrissi anche al corso avanzato. Così cominciai a parlare con Stefano anche delle gite d’inverno, conosceva anche quelle. Intanto, mi sposai, nacque Marianna e poi Rachele. Appena nate, le iscrissi subito al CAI, sulla loro tessera c’è ancora la foto di quando erano nella culla in ospedale. Stefano, che purtroppo non aveva figli, ne fu lusingato, vedeva queste adesioni spontanee come i germogli di quanto aveva seminato nel raccogliere adesioni per la sottosezione di Almese.
Passarono gli anni dosando con equilibrio il tempo libero tra montagna e famiglia, forse non sempre riuscendoci, mia moglie ha quasi sempre tollerato. Purtroppo non ebbi mai l’occasione di fare delle gite con Stefano, ma ce le raccontavamo.
Due anni fa la salute di Stefano cominciò a peggiorare, i nostri incontri diventarono sempre più rari, lo vedevo qualche volta a messa, poi soltanto notizie dai conoscenti di Rivera. A metà agosto, di ritorno da una gita in bicicletta, passai davanti la sua casa, suonai il campanello. Sua moglie Anna mi aprì e mi invitò a salire. Salii le scale, entrai in soggiorno e rividi Stefano seduto vicino al suo tavolo, questa visita non se l’aspettava. Mi sedetti di fronte a lui, Anna ci lasciò soli. Stefano mi chiese “torni da una gita in bicicletta?, gli risposi “si, sono stato al Col Bione” poi aggiunse “bravo, fa bene andare in bicicletta, è un buon allenamento per lo scialpinismo”.
Stefano era li di fronte a me, la malattia gli aveva totalmente tolto il fisico, era debole ma viveva la sua condizione con grande dignità, la sua mente era sana come una volta, la parlata sempre brillante. Tornammo a conversare di montagna, era un fiume in piena, chissà da quanto non lo faceva. Mi raccontò degli amici con cui andava per monti, alcuni li conosco anch’io, di quella volta che si trovò in difficoltà sui Denti d’Ambin e poi di quella meravigliosa gita che fece al Truc Peyron, o Roc Peirous come lo chiamava lui, era primavera, mi disse “riuscii a scendere fino alle Grange della Valle senza togliere gli sci, che giornata straordinaria”. Mi ringraziò della visita e ci salutammo con un arrivederci a presto.
Passarono due settimane, venne il 30 agosto, uscii con la bicicletta e passai per via Tetti San Mauro. Quando fui davanti alla casa di Stefano, come tante altre volte, mi voltai per vedere se Stefano fosse sul balcone o nel giardino, non c’era. Alcune persone erano radunate davanti al cancello, capii che era successo qualcosa, mi dissero che Stefano non c’era più. Provai un grande dispiacere, ci eravamo visti pochi giorni prima, non immaginavo che potesse finire così in fretta. Proseguii il giro in bicicletta, mentre pedalavo, come in un film, ripercorsi tutti i minuti della mia ultima visita a Stefano.
Ora Stefano non c’è più ma ogni volta che passo da via Tetti San Mauro, d’istinto, continuo a voltarmi per vedere se lui è ancora lì, poi penso a quando passeggiava insieme al suo cane, a quando si fermava davanti al cancello della mia casa e ci raccontavamo delle emozioni di gite in montagna, così voglio ricordarlo.

Paolo Manenti

Dai soci : Bella Salita al Sonnigpass ed anche al Mittelruk - 25,26.07.09
Inviato da mountain il 28/07/09 (2042 letture)
Dai soci

Eravamo in pochi, peccato!; gran bell'ambiente con grossi residui delle nevicate invernali in un verde intenso. Ottimo trattamento al rifugio Andolla. Saliti anche alla Punta di Loranco o Mittelruk.
Giornata di pieno sole.
La parola alle immagini, vedi album.

Dai soci : Grido di pietra
Inviato da e.scagliotti il 14/05/09 (1677 letture)
Dai soci

Venerdì 22 maggio,
alle ore 21 precise,

presso il teatro della Scuola Media Gobetti
in via F.lli Bandiera n. 5
(angolo con via Alba)

avrà luogo la proiezione del film
"Grido di pietra"
di Werner Herzog.

Si raccomanda la massima puntualità.

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